aderisce alla FEDERAZIONE DELLA SINISTRA

24/06/12

SENTENZA DEL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA -"DISCRIMINAZIONE" NELLE ASSUNZIONI FIAT

di Francesco Piccioni

Il tribunale civile riconosce che nello stabilimento campano c'è stata «discriminazione» nelle assunzioni e ordina di «sanare» la violazione!!!
Che paese civile, doveva esser l'Italia fino a qualche anno fa! Pensate che esistevano delle leggi che riconoscevano ai cittadini il diritto di non essere discriminati in base alle proprie opinioni. Persino sul posto di lavoro! Forse per questo - diranno gli storici futuri - i saggi del sistema finanziario multinazionale pensarono bene di cancellare tutte le leggi che incongruamente difendevano il diritto di ogni singolo dipendente di avere un'opinione propria e di scegliere a quale sindacato iscriversi...
Il futuro è già qui. Ma per ora esistono ancora le leggi e i tribunali sono chiamati a farle rispettare. La Fiom ha ottenuto dal tribunale civile di Roma (non «del lavoro») la «madre di tutte le sentenze»: quella che impone alla Fiat - pardon, alla Fabbrica Italia Pomigliano (Fip) - di assumere 145 ex dipendenti iscritti alla Fiom. Per sovrappiù, la Fiat dovrà corrisponedere a ognuno dei 19 ricorrenti un «danno esistenziale» pari a 3.000 euro. Sentenza inappellabile, subito esecutiva.
Il perché e il «quanti» è scritto nella legge, anzi in due. La cosa stupenda - una vera vendetta della logica e della storia - è che una delle due porta addirittura la firma di Maurizio Sacconi, il pasdaran passato alle cronache come ministro «del lavoro» (sì, lo so, anche questa suona strana..). Che ieri deve aver avuto seri problemi di fegato prima di dichiarare che «il provvedimento giudiziario è emblematico dell'anomalia che contraddistingue la giustizia italiana».
Il meccanismo è stato spiegato da un raggiante avvocato Lello Ferrara. Il contributo di Sacconi è rinchiuso in una procedura chiamata «ricognizione sommaria»; un po' meno di un processo, un po' di più di una «ricognizione semplice». Una cosa pensata per accelerare le «inutili lungaggini» che spingono certi giudici del lavoro a ostacolare il procedere delle imprese. Grazie; può servire anche in senso opposto (come sa chi sa di legge...).
La seconda è invece il semplice recepimento di una direttiva europea (e anche qui la logica si vendica...) in chiave di «pari opportunità». Un'indicazione anti-discriminazione che vale però anche nei casi di assunzioni al lavoro: nessuno/a può essere svantaggiato a causa delle proprie opinioni o tessere sindacali. Ineccepibile, nevvero?
E infatti non c'è eccezione che tenga, nemmeno a Pomigliano. Dove la Fiat, chiudendo e riaprendo come newco («un imbroglio», lo definisce Andrea Amendola, «contro la Fiom e tutti i sindacati dissidenti»), ha riassunto 2.091 dei 4.500 dipendenti originari. Di questi, nessuno tra gli iscritti alla Fiom. La quale, al momento del change aveva 623 iscritti, poi ridottisi a 382 a causa dei ricatti individuali (telefonate, avvertimenti, messaggi trasversali, ecc); ulteriormente scesi di 20 unità quando, di fronte all'alternativa «ti assumo solo se stracci la tessera», altri hanno ceduto. Bene, ha detto il giudice di Roma: 362 iscritti sono l'8,75% dei vecchi dipendenti di Pomigliano, quindi la Fiat deve assumerne almeno 145. In base alle disposizioni che vietano la discriminazione per qualsiasi ragione.
La legge prevede l'esame anche della «prova statistica». E uno statistico ha dimostrato che un'eventualità del genere (nemmeno un iscritto su tot assunti) si verifica una volta ogni 10 milioni. Insomma: la Fiat ha scientificamente scartato tutti quei vecchi dipendenti che avevano avuto qualche frequentazione col sindacato guidato da Maurizio Landini. Per avere una fabbrica popolata di schiavi obbedienti, da sottoporre al «rito dell'acquario» quando sbagliano qualcosa. Come a Guantanamo, pare.
Per una volta, anche Landini si fa prendere dalla commozione, come tutti i protagonisti del tavolo Fiom (Franco Percuoco, Ciro D'Alessio, oltre ad Amendola). E ringrazia la stampa che ha tenuto in primo piano la vicenda, dandole rilievo politico. Soprattutto ringrazia i suoi «ragazzi» che hanno messo la dignità di tutti davanti all'interesse individuale. E annuncia che la Fiom non userà questa sentenza per pretendere il «rispetto di una quota» fissata dal giudice. Le tute blu pretendono invece che a Pomigliano siano riassunti tutti i 4.500 dipendenti che c'erano, senza guardare alle tessere sindacali. «Il mercato non tira abbastanza?». Bene, si faccia come in Volkswagen, qualche anno fa: redistribuzione del lavoro, riduzione d'orario e contratti di solidarietà (a Wolfsburg: 27 ore settimanali, con integrazione di cig). Se davvero la Fiat «crede nel suo progetto», le sarebbe facile accettare; non avrebbe senso perdere tante competenze. Se non lo fa è la prova che «non ci crede nemmeno lei».
Perché «questa sentenza sana una ferita, ma non risolve tutti i problemi». La garanzia dei diritti e dell'agibilità dovebbe essere il compito del governo e delle forze politiche; che da due anni tacciono (nel migliore dei casi) davanti allo scandalo del« modello Pomigliano». Davanti a un'azienda che se ne frega delle leggi e della Costituzione. Ma anche perché c'è un problema di investimenti promessi e non fatti, di un «piano industriale» sconosciuto a tutti e di un evidente allontanamento progressivo della Fiat dall'Italia. «È in gioco un intero settore industriale», ricorda Landini.
È lotta civile in senso stretto. Il tribunale che ha deciso non era «del lavoro». Si è pronunciato sui diritti fondamentali (art. 4 della Costituzione e egualianza), non su accordi te,poranei. Sarà un caso, ma a tarda sera la Fiat era ancora letteralmente senza parole. Ricorrerà in appello, ovvio. Ma non osa dire nulla. Apparirebbe davvero incivile.
da Il Manifesto, Venerdì 22 Giugno 2012

10/06/12

IL TERREMOTO IN EMILIA E LA SITUAZIONE DEI LAVORATORI

Mirko Sighel
Partito della Rifondazione comunista - Federazione del Trentino

Dopo il sisma che ha colpito l'Emilia Romagna, la Protezione civile ha ordinato la sospensione dell'attività produttiva nei capannoni ritenuti non agibili.
Questo non ha impedito ad alcuni imprenditori sciacalli di costringere i lavoratori a tornare nelle fabbriche a lavorare, chiedendo loro di firmare liberatorie che esentino i padroni da qualunque
responsabilità. Ecco poi apparire cartelloni fuori da alcuni immobili danneggiati: "C’è stato il terremoto ma la vita continua"; "Chi vuole lavora, gli altri possono prendersi le ferie. Liberissimi di farlo”.
Nella tragedia e nella crisi il capitalista getta la maschera perché per lui i lavoratori sono solo uno strumento per produrre ricchezza; se muoiono si tratta di una tragica fatalità. Quando i lavoratori sono un costo, anche la sicurezza dei fabbricati diventa un costo per il
padrone.
In quella terra nessun lavoratore deve tornare nelle aziende a rischiare la propria vita. Le organizzazioni dei lavoratori devono prendere il controllo delle zone colpite dal sisma per impedire che qualche sciacallo approfitti della tragedia per delocalizzare l'attività produttiva e devono procedere alla verifica capillare di ogni stabile per constatare di persona se esistono o no le condizioni per riprendere l'attività lavorativa.
Siamo convinti che in una società dove le aziende sono gestite dai lavoratori senza fine di lucro alcune tragedie possano essere evitate perché i lavoratori in primis sono coinvolti nel gestire la loro sicurezza e non la devono subordinare alle logiche del profitto.

Partito della Rifondazione comunista - Federazione del Trentino

COMUNICATO SU LIBERALIZZAZIONI NEL COMMERCIO

Mirko Sighel
Partito della Rifondazione comunista - Federazione del Trentino

L'assessore del comune di Trento Condini ha lanciato la sfida a sindacati e piccoli esercenti. Dopo aver inizialmente difeso la legge provinciale Olivi sul commercio, il comune di Trento cede alle pressioni dei grandi esercizi commerciali. Negozi sempre aperti, aperture anticipate, chiusure posticipate, domeniche di lavoro. Il sindaco Andreatta smentirà l'assessore o farà il Monti? Questa è la ricetta per uscire dalla crisi? Olivi cosa ne pensa? Non serve a nulla ampliare gli orari di apertura dei negozi se la gente non ha soldi per comperare. Le grandi catene commerciali, da Oviesse a Pam, sono pronte all'assalto del territorio. Eppure ricordiamo che l'assessore provinciale Olivi ha più volte ripetuto che i grandi esercizi commerciali impoveriscono il tessuto distributivo trentino perché sottraggono la clientela ai piccoli esercizi di vicinato, alle famiglie cooperative del paese, ai medi esercizi commerciali sancendone la chiusura e l'impoverimento del tessuto produttivo. Le lavoratrici ed i lavoratori che non saranno licenziati saranno costretti ad orari di lavoro che non si concilieranno più con la proprie relazioni affettive; i lavoratori, soprattutto quelli precari, verranno utilizzati come pedine con orari di lavoro spezzatino; aumenteranno i casi di lavoratori che non potranno godere del riposo settimanale o saranno obbligati all'effettuazione di lavoro straordinario perché i loro datori di lavoro non assumeranno altro personale per coprire l'ampliamento degli orari di apertura dei negozi. Aggiungiamo inoltre che le recenti riforme del governo Monti hanno tagliato le detassazioni riguardanti il premio di produttività e gli straordinari. E' questa la qualità della vita che hanno in mente Andreatta e Condini?

Partito della Rifondazione comunista - Federazione del Trentino

06/06/12

POLITICHE SOCIALI

Aumentano i bisogni, aumentano i tagli, chiudono i servizi

Il paradosso italiano. Nella crisi aumentano disoccupazione, povertà, disuguaglianze. Contemporaneamente lo stato sociale viene smantellato, riducendo così la capacità di risposta ai bisogni, vecchi e nuovi, da parte delle istituzioni pubbliche. L’azzeramento del fondo nazionale sulla non autosufficienza, il quasi azzeramento di quello per le politiche sociali (passato da 1 miliardo nel 2008 a pochi milioni di euro nel 2012), i tagli agli enti locali stanno determinando un forte ridimensionamento, quando non la chiusura, di servizi e prestazioni sociali. I diritti sociali costituzionalmente garantiti vengono così negati. Anziani, persone con disabilità, minori e lavoratori del settore vengono abbandonati a loro stessi in nome del rigore e del bilancio, facendo emergere una concezione folle che considera le risorse per il sociale costi improduttivi da tagliare.

Dallo stato sociale alla privatizzazione del sociale

“Non si può pensare che lo Stato sia in grado di fornire tutto in termini di trasferimenti e servizi. Sia il privato che lavora per il profitto sia il volontariato no profit sono necessari per superare i vincoli di risorse. Il privato, in più del pubblico, possiede anche la creatività per innovare e per creare prodotti che aiutino i disabili. La sinergia tra pubblico e privato va quindi rafforzata” (Ministro del Lavoro, Elsa Fornero – maggio 2012). Le parole hanno un peso, ma diventano macigni quando si trasformano in realtà. Questo governo, come il precedente, sta favorendo un processo di progressivo arretramento del pubblico per lasciare spazio al mercato, libero di fare profitto anche sul sociale, a partire dalle polizze assicurative per poter accedere a determinati servizi e prestazioni.

Lo stato, grazie a Berlusconi, ieri, e a Monti, oggi, non rimuove più gli ostacoli all’uguaglianza sociale. La Costituzione diventa così lettera morta.

Investire nel sociale, investire in un futuro più giusto

Va riconosciuto il valore economico, occupazionale, inclusivo delle politiche sociali. Le risorse per il sociale sono investimenti per uno sviluppo sostenibile, con meno disuguaglianze e povertà, con più dignità e benessere.

Per questo serve un’immediata inversione di tendenza e le cose da fare sono chiare:

1) Definire i livelli essenziali delle prestazioni sociali come stabilito dalla Costituzione per rendere esigibili diritti e prestazioni omogeneamente su tutto il territorio nazionale.

2) Rifinanziare il fondo nazionale delle politiche sociali riportandolo a 1000 milioni di euro.

3) Ripristinare il fondo nazionale per la non autosufficienza, riportandolo ai livelli del 2010 (400 milioni di euro).

4) Rivedere il patto di stabilità interno per permettere ai comuni di investire nel sociale.

5) Introdurre il reddito minimo garantito come strumento contro la povertà e per dignità della persona.

I soldi per fare queste cose ci sono e basta prenderli da chi ce li ha, attraverso una patrimoniale sulle ricchezze oltre gli 800mila euro, e tagliando le spese inutili come quelle militari e per opere dannose come la Tav

LO STATO O E' SOCIALE O NON E'!

I DIRITTI PRIMA DI TUTTO!