Rifondazione Comunista Rovereto
aderisce alla FEDERAZIONE DELLA SINISTRA
25/06/15
22/03/15
Due per mille a Rifondazione Comunista: Codice L19
Car*,
in allegato trasmettiamo la circolare dell’Agenzia delle Entrate in cui
è riportato il codice assegnato al nostro Partito per destinare il 2
per 1000 al Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea in
sede di presentazione della dichiarazione dei redditi.
Il nostro codice è L 19.
Nella circolare sono indicate le modalità per effettuare la scelta anche da parte dei soggetti esonerati dall’obbligo di presentazione della dichiarazione dei redditi.
Chiediamo a tutte/i le/i compagne/i il massimo impegno affinchè vi sia una indicazione massiccia del 2×1000 a favore del nostro Partito: è un modo concreto per sostenere le nostre idee, le nostre lotte, le nostre proposte.
Contiamo sull’impegno di tutte/i voi.
Un caro saluto
Per la Segreteria Nazionale PRC-SE
Capelli – Gelmini – Tecce
Elenco dei partiti politici ammessi al beneficio della destinazione volontaria del due per mille dell’IRPEF per l’anno 2015, con riferimento ai redditi 2014
In relazione a quanto disposto dall’articolo 1, comma 12-quater, del decreto legge 31 dicembre 2014, n. 192, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2015, n. 11, la Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici ha trasmesso all’Agenzia delle entrate l’elenco dei partiti politici ammessi al beneficio della destinazione volontaria del due per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche per l’anno 2015.
Ai sensi del D.P.C.M. 28 maggio 2014, p er esprimere la scelta a favore di uno dei partiti politici, il contribuente appone la propria firma nell’apposito riquadro “Scelta per la destinazione del due per mille dell’IRPEF” presente nelle schede per la scelta della destinazione dell’otto, del cinque e del due per mille dell’IRPEF, indicando il codice del partito prescelto, desunto dalla tabella riportata in allegato.
La scelta può essere effettuata esclusivamente per uno solo dei partiti politici beneficiari.
Le schede sono contenute nei modelli di dichiarazione dei redditi 73 0 e Unico Persone Fisiche, disponibili in formato elettronico sul sito dell’Agenzia delle entrate www.agenziaentrate.gov.it.
I soggetti esonerati dall’obbligo di presentazione della dichiarazione dei redditi possono effettuare la scelta utilizzando la scheda resa disponibile sul sito www.agenziaentrate.gov.it presentandola in busta chiusa, entro il 30 settembre 2015, allo sportello di un ufficio postale o a un intermediario abilitato alla trasmissione telematica (professionista, CAF, ecc.). In alternativa, la scheda per la destinazione dell’otto, del cinque e due per mille dell’IRPEF può essere presentata direttamente dal contribuente avvalendosi dei servizi telematici dell’Agenzia delle entrate.
IL DIRETTORE CENTRALE
Paolo Savini
Il nostro codice è L 19.
Nella circolare sono indicate le modalità per effettuare la scelta anche da parte dei soggetti esonerati dall’obbligo di presentazione della dichiarazione dei redditi.
Chiediamo a tutte/i le/i compagne/i il massimo impegno affinchè vi sia una indicazione massiccia del 2×1000 a favore del nostro Partito: è un modo concreto per sostenere le nostre idee, le nostre lotte, le nostre proposte.
Contiamo sull’impegno di tutte/i voi.
Un caro saluto
Per la Segreteria Nazionale PRC-SE
Capelli – Gelmini – Tecce
Elenco dei partiti politici ammessi al beneficio della destinazione volontaria del due per mille dell’IRPEF per l’anno 2015, con riferimento ai redditi 2014
In relazione a quanto disposto dall’articolo 1, comma 12-quater, del decreto legge 31 dicembre 2014, n. 192, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2015, n. 11, la Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici ha trasmesso all’Agenzia delle entrate l’elenco dei partiti politici ammessi al beneficio della destinazione volontaria del due per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche per l’anno 2015.
Ai sensi del D.P.C.M. 28 maggio 2014, p er esprimere la scelta a favore di uno dei partiti politici, il contribuente appone la propria firma nell’apposito riquadro “Scelta per la destinazione del due per mille dell’IRPEF” presente nelle schede per la scelta della destinazione dell’otto, del cinque e del due per mille dell’IRPEF, indicando il codice del partito prescelto, desunto dalla tabella riportata in allegato.
La scelta può essere effettuata esclusivamente per uno solo dei partiti politici beneficiari.
Le schede sono contenute nei modelli di dichiarazione dei redditi 73 0 e Unico Persone Fisiche, disponibili in formato elettronico sul sito dell’Agenzia delle entrate www.agenziaentrate.gov.it.
I soggetti esonerati dall’obbligo di presentazione della dichiarazione dei redditi possono effettuare la scelta utilizzando la scheda resa disponibile sul sito www.agenziaentrate.gov.it presentandola in busta chiusa, entro il 30 settembre 2015, allo sportello di un ufficio postale o a un intermediario abilitato alla trasmissione telematica (professionista, CAF, ecc.). In alternativa, la scheda per la destinazione dell’otto, del cinque e due per mille dell’IRPEF può essere presentata direttamente dal contribuente avvalendosi dei servizi telematici dell’Agenzia delle entrate.
IL DIRETTORE CENTRALE
Paolo Savini
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Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea |
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18/03/15
Dalla Grecia all'Europa: un cambio di paradigma è possibile". Intervento di Eleonora Forenza (eurodeputato)
La vittoria di Tsipras non rappresenta soltanto un cambio di governo, ma
un possibile cambio di paradigma della politica in Europa.
Syriza diventa sinistra di governo in virtù della sua alterità e della capacità di praticare forme di alternativa di società.
Non solo una somma di piccoli partiti, ma una coalizione sociale e politica che si pone il tema della ricomposizione del blocco sociale.
Storico. Questo l’aggettivo usato più volte da Alexis Tsipras dal palco in piazza Omunia nel comizio di chiusura ad Atene lo scorso 22 gennaio. Helpida, speranza, la parola-chiave della campagna elettorale. E, in effetti, si respirava aria di storia in quella piazza che, strapiena, ha cantato Bella ciao. Un palco circondato dai dirigenti della Sinistra europea, consapevoli della portata politica del voto non solo per la Grecia, ma per l’Europa tutta. E da moltissimi militanti di L’altra Europa con Tsipras, organizzati nella “Brigata Kalimera”.
Un palco solcato assieme da Tsipras e Pablo Iglesias, il leader di Podemos, a ribadire la portata europea della sfida. Iglesias parla in greco, parla del vento del cambiamento che parte dalla Grecia, passa per la Spagna per attraversare l’Europa tutta. Syriza, Podemos, venceremos è anche lo slogan che saluta il comizio di Tsipras dopo la vittoria del 25 gennaio.
Storico, di una storia che fa salti, dunque, e in cui irrompe materialmente la possibilità della alternativa. La vittoria di Syriza rappresenta una rottura, una rottura in primo luogo del fronte ideologico del TINA (There Is No Alternative) di thatcheriana memoria, che impregna il neoliberismo e le politiche di austerità. Una rottura fondata sulla concretezza della possibilità del cambiamento dopo la vittoria elettorale e sulla concretezza del programma di Syriza, presentato a Salonicco lo scorso settembre. Una rottura maturata in quell’ampliamento del “fronte del possibile” che segnò le giornate di Genova 2001 (a cui Tsipras e i giovani del Synaspismos cercarono invano di prendere parte, poiché furono fermati dalla polizia italiana), e poi i social forum europei.
Ricomposizione del blocco sociale
La vittoria di Syriza nasce anche da quel pensiero lungo, dall’idea che un’altra Europa è possibile. Non un semplice cambio di governo, ma un possibile cambio di paradigma della politica in Europa: una rottura non solo del paradigma dell’austerità, ma anche di quello progressista, alla base del modello socialdemocratico.
Il programma di Salonicco – adottato dal nuovo governo greco – rappresenta un cambio di paradigma rispetto alle politiche di austerità non solo per la Grecia, ma per l’Europa: una conferenza europea sul debito, un new deal per l’Europa, l’esclusione degli investimenti pubblici dai vincoli di stabilità, il ruolo della Bce come prestatore di ultima istanza – per stare ai punti principali.
Così come cambiano paradigma le misure intraprese dal primo Consiglio dei ministri (purtroppo tutto maschile) greco: dalla riapertura della televisione di Stato all’aumento del salario minimo per le lavoratrici e i lavoratori; dall’elettricità gratuita per intere fasce sociali a cui era stata tolta al ritorno alla contrattazione collettiva; dal ripristino del pronto soccorso anche per chi non dispone un’assicurazione sanitaria alla fine della privatizzazione del porto di Atene.
Misure che mostrano quanto sia privo di fondamento (o, meglio, frutto dello sport, molto praticato nella politica italiana, di salire sul carro del vincitore) qualsiasi accostamento tra Tsipras e Renzi, che durante il semestre italiano ha costruito una retorica della flessibilità come strategia per occultare il dato del pieno rispetto dei patti di stabilità e che in Italia ha messo in atto una ulteriore precarizzazione del lavoro attraverso il Jobs Act.
È evidente che non basterà la solidarietà con l’esperienza greca, ma occorrerà un vero e proprio sostegno, poiché la vittoria elettorale non è ancora, ovviamente, la vittoria del cambiamento, gli attacchi e i ricatti della Troika saranno (sono già) durissimi e le difficoltà saranno enormi. La consapevolezza che la vittoria elettorale rappresenta solo l’inizio della sfida più difficile è ben presente a Tsipras diversi mesi prima delle elezioni:
«Colui che è bagnato non ha paura della pioggia». Il popolo greco non ha nulla da perdere che le proprie catene, per questo deve dare fiducia a Syriza. Stiamo lavorando sui possibili attacchi dell’oligarchia e progettando la nostra reazione. Una cosa è vincere le elezioni, altra avere il potere reale. Alla gente non chiediamo solo il voto, ma di camminare insieme per attuare l’auspicato cambiamento e per varare politiche di uguaglianza sociale. La vera lotta inizierà dopo il trionfo elettorale, non prima. La nostra esperienza di governo avrà come epicentro i movimenti perché senza il sostegno delle persone non potremmo mettere in pratica le nostre idee. Di questo siamo pienamente convinti e consapevoli .
La necessità di praticare la rottura è anche alla base – spiegano i dirigenti di Syriza – della scelta di non praticare accordi con chi ha sostenuto le politiche di austerità e, dunque, di scegliere il sostegno di Anel per non avere ostacoli all’attuazione del programma di Salonicco.
La vittoria di Syriza è però segno anche della fine del paradigma progressista: il neoliberismo suggella il divorzio tra capitalismo e democrazia (in ultima analisi, tra sociale e politico): l’impermeabilità della governance al conflitto e lo svuotamento della rappresentanza mettono in crisi lo schema secondo cui un ciclo di lotte possa determinare la sua efficacia proprio sul terreno della stessa rappresentanza. La sussunzione del Pse in quell’“estremismo di centro” della grande coalizione che sta governando l’Europa contribuisce a distruggere l’Europa del welfare e manifesta l’esaurimento della “spinta propulsiva” del modello socialdemocratico.
Syriza sceglie di non fare nessun accordo con il Pasok, ritiene inemendabili memorandum e austerità. Diventa forza di governo non in virtù di alleanze e compromessi, non perché prova a “spostare a sinistra”, ma in virtù della propria alterità e della sua capacità di costruire forme di alternativa di società prima della andata al governo.
Dunque, è l’esperienza di Syriza, ancor prima della sua affermazione elettorale, a fornire un paradigma non da importare ma da declinare per la sinistra europea, in primo luogo per quella meridionale, e non ultima quella italiana, su almeno due nodi fondamentali: sinistra di alternativa/sinistra di governo; alleanze e unità della sinistra.
Syriza significa in greco coalizione della sinistra radicale. Raccoglie consenso proprio in virtù della sua alternatività. Ciò dovrebbe aiutare a decostruire la narrazione italica secondo cui radicale significa minoritaria o testimoniale, e per cui il tema della sinistra di governo coincide con quello delle alleanze politiche: Syriza diventa sinistra di governo proprio in virtù della sua alterità e della capacità di praticare forme di alternativa di società.
E qui si arriva al secondo nodo, quello dell’unità. Syriza raccoglie consenso perché capace di radicarsi fino in fondo nei conflitti contro le politiche di austerità, dagli scioperi all’occupazione di piazza Syntagma; perché nella Grecia massacrata dalle politiche di austerità, nella vera e propria “crisi umanitaria” che colpisce quel popolo, costruisce forme di mutualismo, di solidarietà sociale e autogestione: dalle mense alla assistenza sanitaria. Syriza è, dunque, una coalizione intesa non solo come somma di piccoli partiti, ma come coalizione sociale e politica che si pone il tempa della ricomposizione del blocco sociale. Come ha ripetuto più volte lo stesso Tsipras, «occorre unire ciò che il neoliberismo ha diviso». In altre parole, l’esatto contrario di un’idea politicista di unità.
Vento di cambiamento
Il vento del cambiamento soffia poi sulla Spagna, che con ogni probabilità andrà al voto entro la fine del 2015, prendendo corpo in esperienze diverse da Syriza (non senza analogie programmatiche) e diverse tra loro, da quella consolidata di Izquierda Plural alle nuove formazioni come Podemos e Guanyem Barcelona.
Podemos si forma con l¬’obiettivo di «convertir a la mayoría social golpeada en una nueva mayoría para el cambio político», cioè di trasformare la maggioranza sociale espropriata in una nuova maggioranza per il cambiamento politico. Nasce grazie al cambiamento nel senso comune prodotto dal movimento degli indignati, pur senza esserne la diretta espressione elettorale. Viene fondata da giovani militanti e studiosi della Facoltà di scienze politiche della università Complutense di Madrid e attraverso il notevole peso mediatico di Pablo Iglesias. Nel contesto di un paese fortemente segnato dalla crisi democratica, oltre che sociale, Podemos si fa interprete del conflitto alto/basso, democrazia/oligarchia:
La campagna elettorale di Podemos partiva dall’assunto che, in politica, i significanti vivono un conflitto interno e la loro scelta dipende dall’insieme di posizioni che si raggruppano al loro interno. Questa visione costruttiva del discorso politico ha permesso di rivolgersi in maniera trasversale a una maggioranza sociale scontenta, che era al di là dell’asse destra/sinistra, su cui il racconto del regime divide le posizioni e assicura la stabilità, per proporre la dicotomia democrazia/oligarchia o cittadinanza/casta o addirittura nuovo/vecchio: una frontiera diversa che aspira a isolare le élite e a generare una identificazione nei confronti delle nuove dicotomie .
E il primo significante che Podemos risignifica, anche sulla scorta della esperienza latino-americana, è popolo: come nel pensiero laclauciano, il populismo non sarebbe in sé né di destra né di sinistra. Il popolo è un significante oggetto di una contesa egemonica: il gruppo sociale che attribuisce significato al significante popolo diventa egemone.
Ulteriormente diverso è il contesto catalano, segnato da una fortissima densità sociale e da un profondo radicamento sociale dei movimenti, da una connessione molto stretta fra istituzioni di movimento e rappresentanza: Guanyem Barcelona, l’unione della sinistra plurale che si presenterà alle elezioni di primavera, nasce ad esempio in stretta relazione con le lotte e le piattaforme antisfratto e per il diritto all’abitare.
Un vento del cambiamento, dunque, soffia da Sud, dal Mediterraneo sull’Europa. Se, da un lato, le politiche di austerità hanno prodotto un’ulteriore gerarchizzazione delle economie degli Stati membri, aumentando il divario tra il Nord e il Sud e determinando nel meridione del continente livelli di disoccupazione giovanile drammatici, dall’altro si consolida la consapevolezza nella sinistra europea della necessità di connettere le forze di sinistra del Sud in un progetto alternativo per l’Europa tutta: fare della questione meridionale e mediterranea una questione continentale, per ribaltare la logica dei Pigs, dei compiti a casa, della fortezza Europa. Nodi, questi, che, tra gli altri, hanno attraversato il Southforum rEUvolution organizzato a gennaio a Barcellona dal Partito della Sinistra Europea e che con ogni probabilità connoteranno la discussione del prossimo Forum sociale mondiale a Tunisi, previsto a marzo.
Il vento del cambiamento, il varco che si è aperto in Europa, e la riapertura di una fase di conflitto sociale da troppo assente a livello di massa in Italia (dalle manifestazioni del 24 e 25 ottobre, passando per lo sciopero sociale, fino allo sciopero generale del 12 dicembre 2014) costituiscono i due principali elementi di novità per la sinistra italiana: o meglio aprono un orizzonte di possibilità e quindi di grande responsabilità.
Con questa responsabilità si è confrontata l’assemblea di L’Altra Europa con Tsipras svoltasi a Bologna il 17 e 18 gennaio scorsi. La giusta intuizione (che diede avvio alla lista) di una proposta politica costitutivamente di profilo europeo diviene nel manifesto Siamo a un bivio – che insieme ad altri contributi ha aperto la discussione di Bologna – ipotesi di internità al Partito della Sinistra Europea. Il cuore di «una proposta politica che per essere credibile non può che essere unitaria e insieme radicale», la costruzione di una «casa comune della sinistra e dei democratici italiani in un quadro europeo» saldamente ancorata nel sociale. Un progetto, con cui sono stati invitati a confrontarsi soggetti politici organizzati e singoli, «strategicamente alternativo al neoliberismo come visione del mondo, e in opposizione – sul piano elettorale europeo e nazionale –, alle forze politiche che l’hanno incarnato e allo stesso Pd che su quella visione del mondo ha fondato non solo da oggi la sua politica di governo».
La sfida che abbiamo di fronte a noi è la costruzione di una coalizione sociale e politica popolare, alternativa, egemone, soggetto attivo del conflitto contro le politiche di austerità in Europa. Non è l’importazione di un modello, un semplice “facciamo come” a poterci dare la ricetta di un nostro radicamento sociale e popolare. Anzi, uno dei nodi della ricerca per la costruzione di una sinistra europea in Italia è il suo dover divenire nazionale-popolare, il che implica una analisi della peculiarità della società italiana e un ripensamento delle forme di organizzazione del conflitto e del consenso.
Egemonia e spirito di scissione
La sinistra, nel processo di americanizzazione che ha connotato, più che altri paesi europei, il sistema italiano degli ultimi venti anni si è progressivamente ritrovata a essere senza classe e senza popolo. La passivizzazione della società italiana, conseguenza di venti anni di berlusconismo e antiberlusconismo, di rimozione delle questioni sociali dal dibattito politico, si è incardinata nel sistema elettorale maggioritario e bipolare, nella strutturale espulsione del conflitto dalla rappresentanza. Materialmente, il processo di precarizzazione del lavoro ha frantumato resistenze e solidarietà sociali.
La frammentazione della sinistra italiana è conseguenza di questa scissione tra sociale e politico, ossia della sua mancanza di radicamento in un blocco sociale che si è nel frattempo progressivamente disgregato. Il tema dell’unità, dunque, ancora una volta non può essere solo, né principalmente, quello della ricomposizione politica. Il nodo di fondo resta la riconnessione fra sociale e politico: non, dunque, la rappresentanza di un blocco sociale, ma la sua ricostruzione; non l’autosufficienza della “unità della sinistra”, ma la connessione dei conflitti e delle lotte. Come nel commovente film Pride, ambientato nella Inghilterra thatcheriana, che racconta la storia vera della solidarietà tra la lotta dei minatori del Galles e un collettivo gay e lesbico.
Se il neoliberismo ha prodotto individui soli e disciplinati dalla competizione, oggi un processo di soggettivazione politica non può che essere, in primo luogo, un fare società. Conflitto, mutualismo, costruzione dell’egemonia: questi i sentieri da percorre nella consapevolezza che si tratta di una ricerca ancora da fare sulle forme della organizzazione del conflitto precario, così come sulle nuove forme di formazione del senso comune e del consenso, sulla necessità di costruire “altri poteri” nella società, istituzioni di movimento, autorganizzazione dei subalterni. Non mancano anche dai noi esperimenti importanti, come lo sciopero sociale dello scorso 14 novembre (il cui slogan era incrociamo le braccia, incrociamo le lotte).
La costruzione della forza politica, dunque, in primo luogo come trasformazione dei rapporti di forza. Per vent’anni la sinistra italiana si è connotata per una progressiva sussunzione dei suoi gruppi dirigenti nella logica della governabilità. Era questa già la profondissima faglia tra Craxi e il Berlinguer della alternativa democratica. Allo scioglimento del Pci fece seguito, nel giro di poco tempo, il sostegno all’ipotesi del maggioritario. E sul tema del governo e delle alleanze (la possibilità di costruire l’alternativa attraverso l’alternanza) si consumeranno numerose e profonde scissioni a sinistra.
L’esperienza di Syriza mostra che la costruzione di una sinistra di governo, a vocazione maggioritaria, passa per l’alternativa di società, per la alterità delle pratiche e delle forme politiche messe in campo. Gramscianamente, la lotta per l’egemonia presuppone lo “spirito di scissione”. Dovrebbe essere questa la base per un cambio di paradigma per la sinistra italiana.
Syriza diventa sinistra di governo in virtù della sua alterità e della capacità di praticare forme di alternativa di società.
Non solo una somma di piccoli partiti, ma una coalizione sociale e politica che si pone il tema della ricomposizione del blocco sociale.
Storico. Questo l’aggettivo usato più volte da Alexis Tsipras dal palco in piazza Omunia nel comizio di chiusura ad Atene lo scorso 22 gennaio. Helpida, speranza, la parola-chiave della campagna elettorale. E, in effetti, si respirava aria di storia in quella piazza che, strapiena, ha cantato Bella ciao. Un palco circondato dai dirigenti della Sinistra europea, consapevoli della portata politica del voto non solo per la Grecia, ma per l’Europa tutta. E da moltissimi militanti di L’altra Europa con Tsipras, organizzati nella “Brigata Kalimera”.
Un palco solcato assieme da Tsipras e Pablo Iglesias, il leader di Podemos, a ribadire la portata europea della sfida. Iglesias parla in greco, parla del vento del cambiamento che parte dalla Grecia, passa per la Spagna per attraversare l’Europa tutta. Syriza, Podemos, venceremos è anche lo slogan che saluta il comizio di Tsipras dopo la vittoria del 25 gennaio.
Storico, di una storia che fa salti, dunque, e in cui irrompe materialmente la possibilità della alternativa. La vittoria di Syriza rappresenta una rottura, una rottura in primo luogo del fronte ideologico del TINA (There Is No Alternative) di thatcheriana memoria, che impregna il neoliberismo e le politiche di austerità. Una rottura fondata sulla concretezza della possibilità del cambiamento dopo la vittoria elettorale e sulla concretezza del programma di Syriza, presentato a Salonicco lo scorso settembre. Una rottura maturata in quell’ampliamento del “fronte del possibile” che segnò le giornate di Genova 2001 (a cui Tsipras e i giovani del Synaspismos cercarono invano di prendere parte, poiché furono fermati dalla polizia italiana), e poi i social forum europei.
Ricomposizione del blocco sociale
La vittoria di Syriza nasce anche da quel pensiero lungo, dall’idea che un’altra Europa è possibile. Non un semplice cambio di governo, ma un possibile cambio di paradigma della politica in Europa: una rottura non solo del paradigma dell’austerità, ma anche di quello progressista, alla base del modello socialdemocratico.
Il programma di Salonicco – adottato dal nuovo governo greco – rappresenta un cambio di paradigma rispetto alle politiche di austerità non solo per la Grecia, ma per l’Europa: una conferenza europea sul debito, un new deal per l’Europa, l’esclusione degli investimenti pubblici dai vincoli di stabilità, il ruolo della Bce come prestatore di ultima istanza – per stare ai punti principali.
Così come cambiano paradigma le misure intraprese dal primo Consiglio dei ministri (purtroppo tutto maschile) greco: dalla riapertura della televisione di Stato all’aumento del salario minimo per le lavoratrici e i lavoratori; dall’elettricità gratuita per intere fasce sociali a cui era stata tolta al ritorno alla contrattazione collettiva; dal ripristino del pronto soccorso anche per chi non dispone un’assicurazione sanitaria alla fine della privatizzazione del porto di Atene.
Misure che mostrano quanto sia privo di fondamento (o, meglio, frutto dello sport, molto praticato nella politica italiana, di salire sul carro del vincitore) qualsiasi accostamento tra Tsipras e Renzi, che durante il semestre italiano ha costruito una retorica della flessibilità come strategia per occultare il dato del pieno rispetto dei patti di stabilità e che in Italia ha messo in atto una ulteriore precarizzazione del lavoro attraverso il Jobs Act.
È evidente che non basterà la solidarietà con l’esperienza greca, ma occorrerà un vero e proprio sostegno, poiché la vittoria elettorale non è ancora, ovviamente, la vittoria del cambiamento, gli attacchi e i ricatti della Troika saranno (sono già) durissimi e le difficoltà saranno enormi. La consapevolezza che la vittoria elettorale rappresenta solo l’inizio della sfida più difficile è ben presente a Tsipras diversi mesi prima delle elezioni:
«Colui che è bagnato non ha paura della pioggia». Il popolo greco non ha nulla da perdere che le proprie catene, per questo deve dare fiducia a Syriza. Stiamo lavorando sui possibili attacchi dell’oligarchia e progettando la nostra reazione. Una cosa è vincere le elezioni, altra avere il potere reale. Alla gente non chiediamo solo il voto, ma di camminare insieme per attuare l’auspicato cambiamento e per varare politiche di uguaglianza sociale. La vera lotta inizierà dopo il trionfo elettorale, non prima. La nostra esperienza di governo avrà come epicentro i movimenti perché senza il sostegno delle persone non potremmo mettere in pratica le nostre idee. Di questo siamo pienamente convinti e consapevoli .
La necessità di praticare la rottura è anche alla base – spiegano i dirigenti di Syriza – della scelta di non praticare accordi con chi ha sostenuto le politiche di austerità e, dunque, di scegliere il sostegno di Anel per non avere ostacoli all’attuazione del programma di Salonicco.
La vittoria di Syriza è però segno anche della fine del paradigma progressista: il neoliberismo suggella il divorzio tra capitalismo e democrazia (in ultima analisi, tra sociale e politico): l’impermeabilità della governance al conflitto e lo svuotamento della rappresentanza mettono in crisi lo schema secondo cui un ciclo di lotte possa determinare la sua efficacia proprio sul terreno della stessa rappresentanza. La sussunzione del Pse in quell’“estremismo di centro” della grande coalizione che sta governando l’Europa contribuisce a distruggere l’Europa del welfare e manifesta l’esaurimento della “spinta propulsiva” del modello socialdemocratico.
Syriza sceglie di non fare nessun accordo con il Pasok, ritiene inemendabili memorandum e austerità. Diventa forza di governo non in virtù di alleanze e compromessi, non perché prova a “spostare a sinistra”, ma in virtù della propria alterità e della sua capacità di costruire forme di alternativa di società prima della andata al governo.
Dunque, è l’esperienza di Syriza, ancor prima della sua affermazione elettorale, a fornire un paradigma non da importare ma da declinare per la sinistra europea, in primo luogo per quella meridionale, e non ultima quella italiana, su almeno due nodi fondamentali: sinistra di alternativa/sinistra di governo; alleanze e unità della sinistra.
Syriza significa in greco coalizione della sinistra radicale. Raccoglie consenso proprio in virtù della sua alternatività. Ciò dovrebbe aiutare a decostruire la narrazione italica secondo cui radicale significa minoritaria o testimoniale, e per cui il tema della sinistra di governo coincide con quello delle alleanze politiche: Syriza diventa sinistra di governo proprio in virtù della sua alterità e della capacità di praticare forme di alternativa di società.
E qui si arriva al secondo nodo, quello dell’unità. Syriza raccoglie consenso perché capace di radicarsi fino in fondo nei conflitti contro le politiche di austerità, dagli scioperi all’occupazione di piazza Syntagma; perché nella Grecia massacrata dalle politiche di austerità, nella vera e propria “crisi umanitaria” che colpisce quel popolo, costruisce forme di mutualismo, di solidarietà sociale e autogestione: dalle mense alla assistenza sanitaria. Syriza è, dunque, una coalizione intesa non solo come somma di piccoli partiti, ma come coalizione sociale e politica che si pone il tempa della ricomposizione del blocco sociale. Come ha ripetuto più volte lo stesso Tsipras, «occorre unire ciò che il neoliberismo ha diviso». In altre parole, l’esatto contrario di un’idea politicista di unità.
Vento di cambiamento
Il vento del cambiamento soffia poi sulla Spagna, che con ogni probabilità andrà al voto entro la fine del 2015, prendendo corpo in esperienze diverse da Syriza (non senza analogie programmatiche) e diverse tra loro, da quella consolidata di Izquierda Plural alle nuove formazioni come Podemos e Guanyem Barcelona.
Podemos si forma con l¬’obiettivo di «convertir a la mayoría social golpeada en una nueva mayoría para el cambio político», cioè di trasformare la maggioranza sociale espropriata in una nuova maggioranza per il cambiamento politico. Nasce grazie al cambiamento nel senso comune prodotto dal movimento degli indignati, pur senza esserne la diretta espressione elettorale. Viene fondata da giovani militanti e studiosi della Facoltà di scienze politiche della università Complutense di Madrid e attraverso il notevole peso mediatico di Pablo Iglesias. Nel contesto di un paese fortemente segnato dalla crisi democratica, oltre che sociale, Podemos si fa interprete del conflitto alto/basso, democrazia/oligarchia:
La campagna elettorale di Podemos partiva dall’assunto che, in politica, i significanti vivono un conflitto interno e la loro scelta dipende dall’insieme di posizioni che si raggruppano al loro interno. Questa visione costruttiva del discorso politico ha permesso di rivolgersi in maniera trasversale a una maggioranza sociale scontenta, che era al di là dell’asse destra/sinistra, su cui il racconto del regime divide le posizioni e assicura la stabilità, per proporre la dicotomia democrazia/oligarchia o cittadinanza/casta o addirittura nuovo/vecchio: una frontiera diversa che aspira a isolare le élite e a generare una identificazione nei confronti delle nuove dicotomie .
E il primo significante che Podemos risignifica, anche sulla scorta della esperienza latino-americana, è popolo: come nel pensiero laclauciano, il populismo non sarebbe in sé né di destra né di sinistra. Il popolo è un significante oggetto di una contesa egemonica: il gruppo sociale che attribuisce significato al significante popolo diventa egemone.
Ulteriormente diverso è il contesto catalano, segnato da una fortissima densità sociale e da un profondo radicamento sociale dei movimenti, da una connessione molto stretta fra istituzioni di movimento e rappresentanza: Guanyem Barcelona, l’unione della sinistra plurale che si presenterà alle elezioni di primavera, nasce ad esempio in stretta relazione con le lotte e le piattaforme antisfratto e per il diritto all’abitare.
Un vento del cambiamento, dunque, soffia da Sud, dal Mediterraneo sull’Europa. Se, da un lato, le politiche di austerità hanno prodotto un’ulteriore gerarchizzazione delle economie degli Stati membri, aumentando il divario tra il Nord e il Sud e determinando nel meridione del continente livelli di disoccupazione giovanile drammatici, dall’altro si consolida la consapevolezza nella sinistra europea della necessità di connettere le forze di sinistra del Sud in un progetto alternativo per l’Europa tutta: fare della questione meridionale e mediterranea una questione continentale, per ribaltare la logica dei Pigs, dei compiti a casa, della fortezza Europa. Nodi, questi, che, tra gli altri, hanno attraversato il Southforum rEUvolution organizzato a gennaio a Barcellona dal Partito della Sinistra Europea e che con ogni probabilità connoteranno la discussione del prossimo Forum sociale mondiale a Tunisi, previsto a marzo.
Il vento del cambiamento, il varco che si è aperto in Europa, e la riapertura di una fase di conflitto sociale da troppo assente a livello di massa in Italia (dalle manifestazioni del 24 e 25 ottobre, passando per lo sciopero sociale, fino allo sciopero generale del 12 dicembre 2014) costituiscono i due principali elementi di novità per la sinistra italiana: o meglio aprono un orizzonte di possibilità e quindi di grande responsabilità.
Con questa responsabilità si è confrontata l’assemblea di L’Altra Europa con Tsipras svoltasi a Bologna il 17 e 18 gennaio scorsi. La giusta intuizione (che diede avvio alla lista) di una proposta politica costitutivamente di profilo europeo diviene nel manifesto Siamo a un bivio – che insieme ad altri contributi ha aperto la discussione di Bologna – ipotesi di internità al Partito della Sinistra Europea. Il cuore di «una proposta politica che per essere credibile non può che essere unitaria e insieme radicale», la costruzione di una «casa comune della sinistra e dei democratici italiani in un quadro europeo» saldamente ancorata nel sociale. Un progetto, con cui sono stati invitati a confrontarsi soggetti politici organizzati e singoli, «strategicamente alternativo al neoliberismo come visione del mondo, e in opposizione – sul piano elettorale europeo e nazionale –, alle forze politiche che l’hanno incarnato e allo stesso Pd che su quella visione del mondo ha fondato non solo da oggi la sua politica di governo».
La sfida che abbiamo di fronte a noi è la costruzione di una coalizione sociale e politica popolare, alternativa, egemone, soggetto attivo del conflitto contro le politiche di austerità in Europa. Non è l’importazione di un modello, un semplice “facciamo come” a poterci dare la ricetta di un nostro radicamento sociale e popolare. Anzi, uno dei nodi della ricerca per la costruzione di una sinistra europea in Italia è il suo dover divenire nazionale-popolare, il che implica una analisi della peculiarità della società italiana e un ripensamento delle forme di organizzazione del conflitto e del consenso.
Egemonia e spirito di scissione
La sinistra, nel processo di americanizzazione che ha connotato, più che altri paesi europei, il sistema italiano degli ultimi venti anni si è progressivamente ritrovata a essere senza classe e senza popolo. La passivizzazione della società italiana, conseguenza di venti anni di berlusconismo e antiberlusconismo, di rimozione delle questioni sociali dal dibattito politico, si è incardinata nel sistema elettorale maggioritario e bipolare, nella strutturale espulsione del conflitto dalla rappresentanza. Materialmente, il processo di precarizzazione del lavoro ha frantumato resistenze e solidarietà sociali.
La frammentazione della sinistra italiana è conseguenza di questa scissione tra sociale e politico, ossia della sua mancanza di radicamento in un blocco sociale che si è nel frattempo progressivamente disgregato. Il tema dell’unità, dunque, ancora una volta non può essere solo, né principalmente, quello della ricomposizione politica. Il nodo di fondo resta la riconnessione fra sociale e politico: non, dunque, la rappresentanza di un blocco sociale, ma la sua ricostruzione; non l’autosufficienza della “unità della sinistra”, ma la connessione dei conflitti e delle lotte. Come nel commovente film Pride, ambientato nella Inghilterra thatcheriana, che racconta la storia vera della solidarietà tra la lotta dei minatori del Galles e un collettivo gay e lesbico.
Se il neoliberismo ha prodotto individui soli e disciplinati dalla competizione, oggi un processo di soggettivazione politica non può che essere, in primo luogo, un fare società. Conflitto, mutualismo, costruzione dell’egemonia: questi i sentieri da percorre nella consapevolezza che si tratta di una ricerca ancora da fare sulle forme della organizzazione del conflitto precario, così come sulle nuove forme di formazione del senso comune e del consenso, sulla necessità di costruire “altri poteri” nella società, istituzioni di movimento, autorganizzazione dei subalterni. Non mancano anche dai noi esperimenti importanti, come lo sciopero sociale dello scorso 14 novembre (il cui slogan era incrociamo le braccia, incrociamo le lotte).
La costruzione della forza politica, dunque, in primo luogo come trasformazione dei rapporti di forza. Per vent’anni la sinistra italiana si è connotata per una progressiva sussunzione dei suoi gruppi dirigenti nella logica della governabilità. Era questa già la profondissima faglia tra Craxi e il Berlinguer della alternativa democratica. Allo scioglimento del Pci fece seguito, nel giro di poco tempo, il sostegno all’ipotesi del maggioritario. E sul tema del governo e delle alleanze (la possibilità di costruire l’alternativa attraverso l’alternanza) si consumeranno numerose e profonde scissioni a sinistra.
L’esperienza di Syriza mostra che la costruzione di una sinistra di governo, a vocazione maggioritaria, passa per l’alternativa di società, per la alterità delle pratiche e delle forme politiche messe in campo. Gramscianamente, la lotta per l’egemonia presuppone lo “spirito di scissione”. Dovrebbe essere questa la base per un cambio di paradigma per la sinistra italiana.
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